TUMORE DELLA PROSTATA MALATTIA DIFFUSA MA CURABILE

Indagini semplici e indolori consentono diagnosi precoci. Anche troppo
L’intervento chirurgico è per lo più risolutivo ma può provocare conseguenze
anche menomanti quali l’incontinenza e l’impotenza sessuale. Difficile per medico e paziente scegliere la terapia nei casi di non acclarata gravita. Parla Marco Pizzoccaro, urologo tra i più qualificati, Aiuto del professor Catanzaro, consulente al Pianella

A cura del Dr. Marco Pizzoccaro
Responsabile del Servizio di Urologia al Centro Medico Pianella di Merate

Il dottor Marco Pizzoccaro Qualcuno sostiene che a 90 anni quasi tutti i maschi hanno un
tumore prostatico e che a cento è possibile togliere anche quel “quasi”. Una battuta, per quanto cinica, che però poggia su un dato incontrovertibile: l’insorgenza di questa patologia nell’uomo è assai probabile anche se la sua evoluzione è, solitamente, molto lenta. Certo, essa può manifestarsi anche in fase già avanzata, quando non è più trattabile con intento di guarigione; del resto è una malattia con esito anche mortale. Insomma, di tumore alla prostata si muore ancora. Ma i metodi d’indagine precoce sono ormai così sofisticati da generare una domanda, nuova e paradossale: vale davvero la pena di sottoporsi ad accertamenti preventivi per individuare la microscopica presenza di una cellula tumorale la cui evoluzione maligna avviene spesso in tempi lunghi, calcolabili talvolta in decenni addirittura? Una domanda tutt’altro che peregrina perché, qualora il paziente una volta scoperta la presenza di cellule tumorali anche se ai primi stadi decidesse, spinto dalla comprensibile paura di avere il cancro, di sottoporsi ad un intervento chirurgico, in questa fase forse non indispensabile, se da un lato può contare su ottime probabilità di guarigione – per quanto i risultati siano valutabili dopo una decina d’anni – dall’altro rischia di subire conseguenze post operatorie gravi e delicate come l’incontinenza (perdita di urina) e l’impotenza sessuale. Conseguenze drammatiche, anche dal punto di vista psicologico, per un uomo di 50-60 la cui aspettativa di vita è misurabile in una ventina d’anni. Ecco quindi il duplice dilemma cui si trova di fronte il medico specialista: 1) è giusto e/o opportuno consigliare ai propri pazienti maschi indagini diagnostiche a scopo preventivo? 2) In caso di accertata presenza di cellule tumorali quale terapia è preferibile adottare? Abbiamo girato le domande al dottor Marco Pizzoccaro, specialista in Urologia, responsabile Unità Operativa di Urologia dell’Ospedale di Carate Brianza. Lo incontriamo al Polispecialistìco Pianella di Via Verdi dove visita su appuntamento. “Sono entrambi quesiti impegnativi. Non esistono pertanto risposte standard. Dobbiamo considerare molti fattori, l’età del soggetto, il suo grado di emotività, eventuali precedenti in famiglia; valutare insomma caso per caso che cosa sia meglio fare, sfruttando l’esperienza e la sensibilità che cresce col tempo e con il lavoro in corsia, negli ambulatori e nelle sale chirurgiche”. Esistono metodi diagnostici in grado di individuare precocemente l’insorgenza del tumore prostatico? “Una volta, i libri di testo in uso agli studenti universitari spiegavano che il tumore alla prostata era incurabile perché non diagnosticabìle in fase precoce. E ancora oggi, se la diagnosi non è preventiva la malattia è gestibile ma non guaribile. I metodi d’indagine attuali però sono sempre più sofisticati e precisi. Il più semplice è il “P.S.A.”, un esame del sangue. Facile, indolore, preciso. E’ l’acronimo di Antigene specifico prostatico ed è misurabile con una scala numerica. Più salgono i valori, più probabile è la presenza di cellule tumorali. E’ un
esame cui ci si può sottoporre a qualsiasi età ma che può essere consigliato dopo i 50 anni, 45 se in famiglia esistono precedenti di tumori della prostata. Un altro esame, fastidioso ma non doloroso è l’ispezione rettale effettuata dal medico. Il grado di precisione è subordinato allo stadio della malattia e alla sensibilità dello specialista. Qualora uno dei due esami facesse sospettare l’esistenza del tumore occorre procedere con una ecografia rettale ed eventualmente con dei prelievi della prostata, la Biopsia prostatica che viene praticata in anestesia locale”. Completati gli esami se il medico accerta l’esistenza del tumore come si comporta in genere? “Questo tipo di tumore è particolarmente variabile nella sua evoluzione e si presenta con modalità e tipologie diverse fra loro. Ne sono stati classificati cinque gruppi la cui pericolosità viene determinata sulla base di un punteggio da 2 a 10 (sommatoria di Gleason). Più sale il punteggio, più grave è la situazione.. L’incrocio dei risultati diagnostici, PSA, classe di Gleason e biopsie, permette di fecalizzare l’entità del problema. A quel punto le possibilità di terapia sono diverse: nei casi ancora localizzati alla prostata l’indicazione principale è il trattamento chirurgico radicale; nei pazienti di età avanzata ( sopra i 75) o che presentino un rischio operatorio troppo elevato è possibile indirizzare il paziente verso la radioterapia che comporta meno inconvenienti postoperatori ma può esporre il paziente a problemi a distanza. Nei casi di tumore avanzato, che abbia interessato altri organi ( linfonodi, ossa) è possibile prescrivere una terapia ormonale che può fermare la malattia per un periodo non prevedibile, a volte anche di diversi anni. La soluzione chirurgica, come dicevamo, ha punte di guarigione del 90 per cento in casi selezionati ma può compromettere la qualità della vita a uomini che possono statisticamente vivere fino a 76 anni. E’ giusto? E’ opportuno”? Intende dire che la soluzione chirurgica, in casi di non acclarata gravita, può essere peggiore del male? “Posta così la questione devo rispondere no. Ma le faccio un esempio: abbiamo un paziente ancora in giovane età, diciamo 52 anni che quindi, in base alle tavole di mortalità (dati statistici che indicano la vita media degli italiani, l’ultima rilevazione assegna ai maschi 76 anni, ndr) ha un’aspettativa di vita di 24 anni. Le indagini hanno accertato l’esistenza di cellule tumorali ma il PSA ha valori ridotti, diciamo 6; la classe di Gleason è 2 (la più bassa) e su sei biopsie effettuate col metodo random, prelevando cioè tessuti prostatici in maniera casuale, una sola ha evidenziato la presenza del tumore. Che cosa è più opportuno fare? Operiamo col rischio di rendere sessualmente impotente l’uomo che invece potrebbe avere una vita, anche sessuale, ancora lunga? Wait and see come dicono gli inglesi? In effetti aspettare e guardare l’evoluzione della malattia con controlli stretti a volte può essere una soluzione proponibile. Accidenti, un bel problema. “Già. Quando mi capita di dover spiegare questa situazione, tiro in ballo un esempio, semplice e facilmente comprensibile. In una scatola di cartone dal bordo piuttosto alto mettiamo dentro una tartaruga, un coniglio e un uccellino. Il primo animaletto continuerà a girare intorno senza mai uscire; il secondo girerà per un po’ ma prima o poi spiccherà il balzo e salterà fuori; il terzo schizza via subito. Ebbene, fuori di metafora il primo caso è assimilabile ad un tumore che potrebbe non essere da curare subito; il secondo che va curato; il terzo che è non è guaribile”. Il problema è quello di saper porre nella giusta classe ogni singolo caso. Quindi, riassumendo, nel primo caso aspettiamo e guardiamo, nel terzo purtroppo non c’è più niente da fare, nel secondo si interviene. Come? “Sempre considerando l’età dell’uomo e il dato incrociato di PSA, classe di Gleason ed esito delle biopsie, unitamente al giudizio individuale del medico e al grado dì consapevolezza ed emotività del paziente, possiamo intervenire con la Prostatectomia radicale o con la Radioterapia. Nel primo caso il chirurgo asporta la prostata. Le conseguenze possono essere l’incontinenza (riscontrata nel 20 per cento circa dei pazienti) e l’impotenza sessuale (fino al 70 per cento). Nel secondo si procede con trattamento radiante che offre buone possibilità di guarigione ma fa assumere al paziente raggi in dosi elevate con possibili effetti collaterali irritativi e forse una minor sicurezza di risultato positivo a distanza”. Non per ripetere la domanda ma lei consiglia screening di massa? “Nemmeno io desidero ripetere la risposta rimanendo nel vago. Io non reputo opportuno o conveniente sapere con eccessivo anticipo che ho un principio di tumore alla prostata la cui evoluzione però è lentissima. Se lo sapessi a 50 anni, vivrei malissimo il tempo che mi resta oppure, per paura, mi sottoporrei ad un intervento chirurgico che potrebbe produrmi menomazioni gravi e limitanti della stessa qualità della vita”. H tumore alla prostata è in crescita come altre tipologie di tumori? “L’incidenza aumenta con la ricerca. Certo, è molto frequente ma i dati attuali non sono comparabili col passato. Il PSA è stato scoperto nel 1979 e applicato dal 1983. Il massiccio ricorso a questo metodo d’indagine ha permesso di individuare precocemente moltissimi casi ma questo non significa che anche prima il tumore della prostata non fosse altrettanto diffuso. Sicuramente oggi siamo in grado di diagnosticare un numero sempre crescente di tumori in fase iniziale e quindi di poter scegliere la strategia migliore per ogni singolo paziente. Se sono stato sufficientemente chiaro penso che si possa capire come la corretta comprensione del problema da parte del paziente e la sua collaborazione attiva nelle scelte del medico possa permettere di scegliere per ognuno la cura migliore”.